Ri-Pensare il Padre…………… di Marisa De Luca
RI-PENSARE IL PADRE
Il padre è morto, lo hanno proclamato in diverse forme la filosofia, la letteratura, la psicanalisi ma soprattutto lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, nella nostra vita individuale e sociale, quando ci siamo trovati orfani di un punto di riferimento capace di orientare il nostro agire. Diversi libri in questi mesi hanno messo a fuoco uno scontro generazionale di natura nuova, quasi stessimo assistendo ad una evoluzione della specie che non permette più il dialogo tra adulti e giovani: da “Gli Sdraiati” di Michele Serra nella forma di una lunga lettera al figlio che non comunica, al volume di Antonio Polito “Contro i papà” che evidenzia il fallimento del modello educativo del ’68, al romanzo di Paola Mastracola “Non so niente di te”, sulla pretesa dei genitori di imporre i loro modelli a figli che non conoscono, al “Padre infedele” di Antonio Scurati alle prese con una nuova idea di vivere la paternità rispetto a quella della Tradizione, fino al recentissimo “L’educazione im-possibile” di Vittorio Andreoli che offre spunti per orientarsi in una società senza padri. Siamo entrati nell’epoca dell’evaporazione del padre. Abbiamo, però, sperimentato nelle nostre esistenze che la ribellione, la trasgressione contro il padre non ha prodotto nulla di durevole, lasciandoci più soli che mai. Così come non ha risolto i nostri problemi la chiusura narcisistica in noi stessi, in una sorta di autismo che negli ultimi anni ha preso la forma dell’immersione nei social network. Il conflitto generazionale e l’emancipazione precoce dei figli rispetto ai genitori hanno subito una tale accelerazione che ha contribuito a mettere in crisi la figura paterna, col risultato che spesso i padri sono assenti dall’orizzonte dei figli o anch’essi “sdraiati” in un lassismo educativo senza rigore. Così i padri non sono più in grado di testimoniare: si è interrotta la catena della trasmissione generazionale del desiderio come progetto. Desiderare nel suo significato etimologico è l’atto di volgere lo sguardo alle stelle, cioè educare alla trascendenza, a guardare il cielo, l’oltre. Aprire alla dimensione del non- ancora, a una progettualità che nasce dalla fiducia nel futuro e nella vita e scoprire la propria vocazione. Come afferma lo scrittore e giornalista irlandese, John Waters: “Non sono gli adolescenti ad aver perso il senso del Mistero, bensì i genitori che hanno perso il metodo con cui guidarli verso il Mistero”. Ma nel tempo della crisi, nel tempo senza lavoro e senza speranza che ha ipotecato il futuro consumandolo bulimicamente nel presente, depauperando l’avvenire di possibili progetti di vita, cosa resta del padre e soprattutto cosa ne sarà dei nostri figli? Tra le tesi più discusse negli ultimi tempi, c’è quella dello psicanalista lacaniano Massimo Recalcati che, ne “Il Complesso di Telemaco”, propone un nuovo modello per spiegare la relazione padre-figlio che sostituisce quello tradizionale freudiano di Edipo tutto conflittuale. Recalcati, rivisitando il mito di Telemaco, individua nel figlio di Ulisse la figura del “giusto erede”, del figlio disposto ad intraprendere il viaggio rischioso della vita che lo traghetterà verso l’età adulta che, senza rinunciare al proprio desiderio e domanda di felicità, riconosce però il debito di “appartenenza” al padre. Viviamo in un tempo in cui la città è saccheggiata, la politica non è più ciò che governa la polis ma ciò che la distrugge. Per riportare l’ordine c’è bisogno che i figli ricostruiscano un’alleanza con i padri. Il primo compito di Telemaco è di riconoscere la sua provenienza, riconoscere che senza il rispetto dei padri, senza la memoria la vita degrada e diventa la vita dei Proci. Una società senza padri smarrisce la capacità di vivere le domande fondamentali dell’esistenza e con essa smarrisce la capacità di dare significato alle prove della vita. L’atto fondamentale dell’ereditare è riconoscere la dipendenza, il debito rispetto a un Altro, perché nessuno di noi ha deciso le sue origini. Il mito dell’auto-generazione, dell’essere genitori di se stessi è un altro mito delirante del nostro tempo. C’è poi un altro aspetto che caratterizza Telemaco come figlio giusto. Egli non si limita a guardare il mare aspettando che il padre ritorni ma si mette in movimento. Ritorna nei luoghi frequentati dal padre, compiendo un viaggio molto rischioso. Splendida metafora: il viaggio del figlio consentirà il ritorno del padre. Per essere giusti eredi non bisogna solo ricevere ciò che la Tradizione ci consegna, si deve partire per il proprio viaggio, costruendo da noi stessi il nostro avvenire. Goethe scriveva: “Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo se vuoi possederlo davvero”. Telemaco ha questo coraggio, quello di un figlio che sa che non può limitarsi ad aspettare il padre ma deve compiere il proprio cammino. Scruta l’orizzonte in trepida attesa come le nuove generazioni attendono il ritorno del padre per riconquistare il proprio avvenire. Camminiamo sulle rovine ma rinascere non è una tra le tante possibilità ma la sola possibilità che abbiamo. Il viaggio di Telemaco ci insegna che i giovani non hanno bisogno di padri-eroi ma di padri capaci di etica, che sappiano dare speranza e fiducia ma nessun padre potrà mai risparmiare il viaggio pericoloso e senza garanzie per ereditare il nostro avvenire. I figli si aspettano che tornino dal mare padri-testimoni, capaci di gesti, di scelte, di assunzioni di responsabilità, di passioni, capaci di mostrare attraverso la testimonianza della propria vita che la vita può avere un senso. Solo l’alleanza fra padri e figli traghetterà le nostre esistenze e il nostro futuro verso un’epoca nuova.
Catania, 28 aprile 2014
Marisa De Luca per Sport Enjoy Project Magazine
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