Dagli agrumi arrivano nuove scoperte nel settore industriale

In Sicilia le ultime frontiere dell’economia verde

di Serena d’Arienzo

Che gli agrumi contenessero principi organolettici benefici per l’organismo è ormai risaputo. Tuttavia, ciò che ancora molti sconoscono, sono i vantaggi economici da essi ricavabili, non solo nel settore alimentare, ma nei campi produttivi più disparati.

A dirlo sono gli ultimi risultati di una ricerca concepita e sviluppata dall’Università di Catania che ha reso possibile, grazie a tecnologie all’avanguardia, l’utilizzo del residuo di spremitura degli agrumi, il cosiddetto “pastazzo”, in ambiti di produzione variegati, da quello alimentare con la produzione di brioche dietetiche e bevande naturali, a quello tessile o ancora agricolo con prodotti fertilizzanti per il suolo.

Una conversione che vede un cambio di prospettiva rivoluzionario, considerando gli scarti organici non più come un rifiuto il cui smaltimento prevede un costo economico, bensì come risorsa capace di sviluppare altri segmenti di lavorazione. Non un dettaglio da poco, se si considera che ogni anno l’industria agrumicola ne produce oltre 700 mila tonnellate, di cui 340 mila solo in Sicilia, con costi di eliminazione degli avanzi che ricadono sull’intera filiera e che non avrebbero ragion d’esistere proprio in virtù del potenziale di riciclo di tale sottoprodotto.

Non a caso, lo studio catanese rappresenta uno snodo rilevante non solo in un’ottica di risparmio, ma anche secondo parametri di energia sostenibile. Così come dichiarato in più occasioni dal coordinatore del progetto di ricerca, Salvatore Barbagallo, gli esiti scientifici coinvolgono industrie alimentari, nonché una società che dal pastazzo è riuscita a ricavare addirittura una fibra tessile. La speranza è quella che si giunga a un riconoscimento normativo volto a fornire sostegno economico alle industrie di trasformazione di agrumi e, di riflesso, all’intero comparto dell’agrumicoltura siciliana, garantendo così un minore impatto ambientale.

Processi produttivi alternativi e meno inquinanti rappresentano, quindi, la vera scommessa per il futuro. E la Sicilia non si è fatta cogliere impreparata, con studi e ritrovati scientifici che già da tempo guardano in questa direzione, puntando in special modo su risorse naturali.

E’ il caso del limonene, sostanza presente in numerose specie vegetali e in particolare modo nella buccia di limoni e agrumi, che oltre alle già note proprietà antiossidanti e funzionalità mediche nella prevenzione e cura di tumori, può vantare, grazie a recenti scoperte, applicazioni e usi nel settore chimico.

Secondo i gruppi di ricerca guidati da Mario Pagliaro del CNR di Palermo e Tony Lopez-Sanchez dell’Università di Liverpool, il limonene sarebbe una sostanza preziosa per la produzione di polimeri avanzati, di pesticidi non tossici, di un solvente ecologico per l’industria e per l’estrazione di sostanze naturali dalle piante senza l’utilizzo di derivati dal petrolio.  Secondo Fabio Moschella, presidente del Consorzio di tutela del limone di Siracusa, si tratta di una molecola che sta rivelando caratteristiche e valori finora trascurati, tanto che ancora oggi il limonene viene in gran parte disperso nei residui di lavorazione, quando invece possiede un valore straordinario.

Lo studio italo-britannico, già pubblicato su “Chemical Communication”, autorevole giornale di ricerca chimica internazionale, ha affermato che il limonene è contenuto nella scorza del frutto in concentrazione pari a circa il 4% del peso dell’agrume. Intorno allo studio hanno manifestato il loro interesse gli agrumicoltori del Consorzio di tutela del limone di Siracusa, tanto da avviare contatti col gruppo di ricerca per verificare l’effettiva messa in opera di un progetto di bioraffineria. Il processo di estrazione del limonene avviene attraverso un sistema di distillazione, grazie al quale è possibile ricavare anche la pectina, un’ulteriore sostanza che oggi viene scartata, ma che può avere un valore aggiunto importante per gli agrumicoltori siciliani.

Se il Brasile ne è il maggiore produttore mondiale, seguito da Cina e Stati Uniti, l’Italia è il secondo produttore in Europa, con ampi margini di interesse da parte del mercato. Non a caso tutti i Paesi produttori di agrumi, nel giro di dieci anni, hanno conosciuto un crescente impiego della sostanza in nuovi settori dell’economia, tanto da generare un sensibile aumento del prezzo, passando da meno di 1 dollaro a più di 10 dollari al chilo.

Gli esiti medici, biochimici e industriali costituiscono il volto contemporaneo degli agrumi di Sicilia, simboli ancestrali dell’identità e delle radici isolane. Il modello positivo costituito dal settore agrumicolo nostrano, fusione tra la tradizione del territorio e la ricerca scientifica della futura economia verde, rappresenta la combinazione vincente per guardare con lungimiranza e fiducia al futuro. La vera sfida, però, si consumerà nell’Isola, cercando di mettere a sistema il corredo legislativo esistente e la capacità di valorizzazione e innovazione, dimostrando la possibile comunione tra identità territoriale, sperimentazione scientifica e prassi politica.