Tra ghetti e identità: gli ebrei italiani in età moderna In occasione del giorno della memoria, l’ebraismo italiano dal Rinascimento alla Restaurazione secondo Marina Caffiero
Tra ghetti e identità: gli ebrei italiani in età moderna
In occasione del giorno della memoria, l’ebraismo italiano dal Rinascimento alla Restaurazione secondo Marina Caffiero
di Serena d’Arienzo
In occasione del “Giorno della memoria”, proporre un focus sull’ebraismo italiano nel corso dei secoli potrebbe essere un’occasione interessante per conoscere il popolo ebraico e le sue vicissitudini non esclusivamente secondo la fin troppo nota prospettiva novecentesca.
Ebbene, esiste una “storia ebraica” o, piuttosto, è più corretto parlare di “storia degli ebrei”?
Se la storia ebraica richiama un’etnia, l’identità di un popolo e un sistema religioso a sé stante, la storia degli ebrei invece assume un significato di gran lunga più pregnante qualunque epoca si consideri, sia essa il Medioevo o l’età moderna, l’Ottocento o il Novecento.
In effetti, il saggio edito da Carocci “Storia degli ebrei nell’Italia moderna. Dal Rinascimento alla Restaurazione” di Marina Caffiero, docente di Storia moderna all’Università Sapienza di Roma, predilige un altro approccio storiografico, ovvero considerare il popolo ebraico non nella sua separatezza, bensì nell’interazione con le altre fedi religiose esistite nello stesso territorio nel medesimo periodo storico. Quindi non una storia ebraica che distingue le comunità israelitiche degli antichi stati italiani dal generale contesto cristiano, quanto piuttosto “una storia di scambi e intrecci istituzionali, sociali e culturali, impossibili da separare”.
Secondo le ricostruzioni della Caffiero, la parabola storica degli ebrei nell’Italia moderna comprese due fasi traumatiche e una svolta benefica, seppur dolorosa.
La prima fase traumatica, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, vide la cacciata degli ebrei autoctoni della Sicilia e del Mezzogiorno, effetto della Riconquista spagnola, cui fece seguito l’arrivo di ebrei di origine iberica nell’Italia centro-settentrionale. Si trattava dei cosiddetti “marrani”, ovvero ebrei convertiti più o meno forzatamente al cristianesimo, ma che di fatto rimanevano fedeli al culto ebraico.
Durante il Seicento si consumò il secondo atto coercitivo, ovvero la ghettizzazione degli ebrei in tutti gli antichi stati italiani, secondo i precetti della Controriforma cattolica.
La svolta benefica si ebbe tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, quando gli ideali illuministici, giacobini e napoleonici aprirono alla comunità ebraica la strada dell’emancipazione, con il rischio però di una reale assimilazione e, quindi, di una perdita di identità culturale.
Dai resoconti della Caffiero, risulta evidente quanto sia parziale e sminuente il paradigma vittimista che nella maggior parte dei casi è stato attribuito alle ricostruzioni storiche sugli ebrei in età moderna. In effetti, se da un lato i marrani erano oggetto di diffidenza diffusa, se non di fattiva persecuzione a causa di un cristianesimo di facciata, dall’altro si evince con quanta abilità i sefarditi, ovvero gli ebrei iberici, intrecciassero relazioni commerciali e matrimoniali in tutta l’Europa del Cinquecento.
Dall’identità religiosa molteplice, i marrani portoghesi erano figure destabilizzanti, sgradite tanto ai cristiani quanto agli ebrei di origine italiana per la loro mancata ortodossia. Secondo le parole di un veneziano del Cinquecento, il marrano era “un traditor et l’homo non se ne pole fidar et io non l’ho né per cristiano né per hebreo, ma per homo senza religione”.
Ma proprio il tratto cosmopolita che assoggettava i marrani all’accusa di tradimento, anche negli ambienti ebraici, in realtà costituiva la linfa per la loro intraprendenza culturale e commerciale nei più rinomati centri del rinascimento italiano, esponendoli al desiderio di rivalsa dei cristiani.
Da qui il fenomeno della ghettizzazione, soluzione italiana e controriformista alla diversità politica, religiosa ed economica di stampo ebraico. Se per Marina Caffiero il Seicento fu il “secolo dei ghetti”, lungo l’epoca successiva passarono da 29 a 41, contenendo ben il 75% degli ebrei della Penisola. Tuttavia l’autrice del saggio tiene a sottolineare che, seppur nella dimensione di segregazione, il ghetto restava pur sempre luogo di inclusione poiché integrato al tessuto urbano, da Torino a Mantova, da Firenze a Roma. Paradossalmente, se la ghettizzazione risparmiò gli ebrei italiani dallo storico destino dell’espulsione o dell’emarginazione, parallelamente garantì un rafforzamento della coesione identitaria.
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