Quando la storia si ripete “Il gatto rosso”, di Anton Antonov e l’attualità della guerra fredda
Quando la storia si ripete
“Il gatto rosso”, di Anton Antonov e l’attualità della guerra fredda
di Serena d’Arienzo
Sono passati decenni, eppure il fantasma della “guerra fredda” tra le due più grandi potenze mondiali, la Russia di Putin e l’America di Obama prima e Trump ora, proietta ancora le sue oscure ombre sugli equilibri della diplomazia internazionale, alimentando tuttora conflitti in certe aree del Pianeta. Una vecchia partita che sempre più spesso viene riproposta sui giornali e che fa risuonare la minaccia potenziale del disastro, soprattutto all’indomani del 2014 quando, con la fine della partnership Nato-Russia, è venuto a mancare un efficace terreno di dialogo tra le due diplomazie. Oggi i riflettori sono puntati sulla Siria, dove russi e americani si trovano attivamente sul campo di battaglia, a dimostrazione di quanto sia pericoloso l’attuale scenario politico.
“Vecchia cronaca” che si alimenta di un passato neanche troppo lontano, ma di certo affascinante, e di un presente in cui continuano a esistere due contrapposte sfere d’influenza.
“Il gatto rosso” di Anton Antonov, pseudonimo letterario di Antonio Fallico, assume questa prospettiva in un’avvincente spy-story di recente elaborazione, che ne risalta senz’altro la sua attualità. Pubblicato da Edizioni Meridiano Zero, si tratta di un fanta-romanzo che coniuga l’agilità dell’intreccio tipica del genere di spionaggio con la solidità della realtà storica. Antonio Fallico, grande conoscitore della cronaca italiana, ordisce trame e complotti che si stagliano sullo sfondo degli anni che vanno dal 1971 al 1994, raccontando la ribalta e i retroscena della politica nazionale e internazionale, sul filo dei precari equilibri tra Unione Sovietica e Stati Uniti.
L’Italia di quegli anni è un crocevia di esperienze politiche contrapposte, modello che condensa le dinamiche geopolitiche in un sistema ridotto in scala, dalle basi NATO di stanza nella penisola, al dibattito del più influente Partito Comunista d’Occidente, guidato da Enrico Berlinguer, senza tralasciare il ruolo del Vaticano. È in questa dimensione di pesi e contrappesi che si muove il protagonista della spy-story, Zeno Zonato, il quale, una volta giunto alla dirigenza del Pci, intraprende un sapiente doppiogioco con i servizi segreti americani e russi, fino a occupare i vertici della Globe Trade, società che gestisce i rapporti finanziari e commerciali tra Oriente e Occidente, di cui fa parte la Cia, il Kgb, il Pci-Pds e il Vaticano.
La prosa limpida e scorrevole contribuisce a ricreare le atmosfere di quegli anni “pesanti come il piombo” raccontando avvenimenti che esulano dalla fiction, dalle stragi di Piazza Fontana a Milano e Piazza della Loggia a Brescia, alle morti di Giangiacomo Feltrinelli, Calabresi, Sindona e Moro; o ancora il ruolo di Karol Wojtyla nella caduta dell’Unione Sovietica, il sostegno dello Ior di Marcinkus al sindacato polacco “Solidarnosc”, la perestrojka di Gorbaciov, la svolta della Bolognina di Occhetto, la doppia partita giocata dal funzionario Cia, Aldrich Ames, corrotto dal Kgb, nonché il rinvenimento di segretissimi documenti in una stanza murata della sede del Pci a Botteghe Oscure, fino all’ascesa degli ultimi dirigenti comunisti e la vicenda di Mani pulite.
Il quadro psicologico del protagonista è quello di un uomo spregiudicato e ambizioso: “il dirigente comunista coltiva un’ambizione frenetica e infinita […] è persuaso che un uomo politico non possa permettersi di essere moralista se vuole vincere. A lui «Orbis non sufficit»”.
Brama di ricchezza e potere rappresentano il sogno narcisistico del protagonista, che nella scalata ai vertici del Partito Comunista trova il suo pieno e assoluto compimento. “Da tanto tempo si sentiva quasi onnipotente ed era a tal punto cinico e sicuro di sé che, anche quando quel quaderno era sparito a un tratto dalla vista, non si era dato tanto pensiero di cercarlo. Non aveva paura di nulla e di nessuno. Quando, raramente, veniva sopraffatto dal magma dei suoi sentimenti e turbato da qualche sospetto e rimorso, reagiva immediatamente cancellandoli con violenza dalla sua coscienza”.
Ma la coscienza fa irruzione nel vissuto di Zeno in diversi livelli della narrazione, sia agli esordi della propria esperienza nel partito, quando affidava alle pagine del suo diario intime interrogazioni sull’ideologia che aveva abbracciato: “Questa è gente che ci crede. Ci credo anch’io?”, sia nella fase del cinismo maturo, quando si destreggia con disinvoltura sui diversi fronti del potere: “Perché lo faccio? Mi verrebbe da dire ‘Così fan tutti’, ma le cose non stanno esattamente così. In cuor mio da che parte sto? Dalla mia parte, ovvio”.
Ma lo specchio che realmente costringe Zeno a scrutare il proprio riflesso e a osservarne le inconciliabili contraddizioni è quello incarnato dalle figure femminili, personalità dalla grande coerenza ideologica. Olga, figlia del Residente del KGB a Roma gli scaglierà contro l’amara realtà a cui si è consacrato: “Sono sicura che tu non ami, né puoi amare nessuno, il mondo per te è uno specchio che riflette solo la tua immagine… Il vostro idolo è il denaro, e il potere è il vostro feticcio”. Bianca, fervida militante e sostenitrice della lotta operaia, probabilmente unica donna che avesse fatto breccia nel cuore del Nostro, una volta scoperte le sue trame gli premonirà: “Tu e i tuoi laidi amici e protettori di Botteghe Oscure avete svenduto il partito e i lavoratori. E vi meritate la morte dei topi. Prima o poi la classe operaia vi caccerà nelle fogne, figli di puttana che non siete altro”. Nonostante la passione amorosa che queste due rappresentanti femminili tributavano a Zeno, non è mancata loro la forza di attuare quello smascheramento che al nostro protagonista, per sua stessa natura, risultava impossibile.
Il “gatto rosso”, ovvero l’astuto compagno Zeno che, con destrezza felina, trionfa in un limbo senza nome, personificazione emblematica di un cinismo privo di ideologia. Di umili natali, abbandona la vocazione sacerdotale fino a raggiungere la sovrintendenza del Partito Comunista Italiano; seppure con le dovute distinzioni di carattere storico e letterario, la parabola di Zeno che passa da due dimensioni differenti dello spirito, la Chiesa e il Partito, è accostabile a quella, seppur invertita, di Julien Sorel, protagonista di “Il Rosso e il Nero” di Stendhal, ovvero dagli ardori napoleonici alla carriera ecclesiastica.
A rimanere calzanti però sono, da un lato il simbolismo del “rosso” che, in entrambi gli attori rimanda alla militanza, sia esso il colore dell’uniforme napoleonica o della bandiera del partito, dall’altro l’ambiguità delle scelte intraprese. Ma se in Julien la scelta dell’abito talare è dettata dall’impossibilità di poter vivere i propri ideali bellici in una società in piena Restaurazione, in Zeno invece assistiamo alla mutazione dell’ipocrisia in cinismo acentrico, ovvero il sopravvento di una cieca ambizione priva di valori di riferimento.
Quanto la fiction e la storia recente possono richiamare quella contemporanea?
Nell’era del terrorismo internazionale certi scenari politici restano ancora pericolosamente incendiari e aperti.
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