Marco Bellocchio: chi ha tradito chi?
Marco Bellocchio: chi ha tradito chi?
Mi chiamo Buscetta, Tommaso Buscetta, imparalo bene il mio nome! Urla queste parole, il boss dei due mondi, al poliziotto brasiliano che, mentre leggeva le motivazioni del suo arresto, ne storpiava il nome. E anche noi, da lì a poco, avremmo imparato bene come si chiamasse il primo pentito di mafia. Davvero un bel lavoro di ricostruzione storica e “umana”, con una sceneggiatura fluida e un’ottima fotografia, è “Il traditore” di Marco Bellocchio, considerando che non era per niente facile ricomporre quegli anni di rivoluzione copernicana nella logica omertosa tipica della mafia. E non era per nulla semplice nemmeno sapere riannodare i fili del rapporto tra l’uomo, il giudice e il mafioso, scaturito nei densi dialoghi tra Falcone e Buscetta, senza incappare nel rischio di rimanere invischiato in scontati luoghi comuni o barbosi dejà vu.
Non è successo perché il raziocinante afferire a un (documentato) realismo allo stato puro da parte del regista, è stata la giusta schermatura a questo concreto pericolo, e anche chiave di volta per salvaguardare quel bene prezioso che è l’attenzione del pubblico, messa a repentaglio da una naturale distrazione che poteva scaturire nell’assistere a un film dai contenuti già noti.
Poi i dialoghi (vedi maxiprocesso), perfetti in molti passaggi nei loro originali contenuti, quasi da doc film, come le scene di violenza intensamente reali nella loro crudele ricostruzione, il tutto “ornato” da celebri frasi ad effetto come “non mi fraintenda ma io ho più paura dello Stato che della mafia” (Falcone), o “noi dobbiamo decidere solo una cosa chi deve morirà prima lei o io” (Buscetta), poche battute che racchiudono tante verità ancora oggi da svelare. Perché è stato proprio nel non detto, o nell’appena accennato, sostenuto da mimici sguardi, che è trapelata tutta la potenza comunicativa di quest’ultimo lavoro di un ritrovato Bellocchio, anche quando si è fatto riferimento a quei segreti che tali devono rimanere, e chissà per quanto tempo.
Riduttivo chiamare monumentale l’interpretazione di un Pierfrancesco Favino perfetto in tutto: recitazione, sguardi, tono di voce, perfino nell’andatura, ma anche nel restituirci, tramite i suoi occhi lucidi, una stridente (per un assassino) pietas per i morti ammazzati e per una mafia in cui non si riconosce più. Si è così immerso nel personaggio che saremmo curiosi di conoscere quanto tempo gli sia occorso per scorporarsi dallo stesso, dubitando che ancora ci sia riuscito in toto.
Leggermente disarmonica, considerando la precisa ricostruzione di eventi, luoghi, dialoghi e contesto storico, è stata la poca rassomiglianza fisica, e del volto, di alcuni personaggi chiave, su tutti un irriconoscibile Giulio Andreotti, gobbetta compresa, ma anche un Riina troppo alto per uno soprannominato: Totò u curtu! Infine, il titolo del film dal riferimento apparentemente semplice a una prima disamina, ma a doppia lettura a voler essere avari perché, riflettendoci attentamente a visone ultimata, potrebbe anche essere a triplice interpretazione. Il Traditore è Buscetta o Pippo Calò nei sui confronti e della famiglia? o è la nuova “Cosa nostra” che non rispetta più determinati, atavici, “valori”? E continuando sulla strada maestra dell’intrigante perplessità: è forse traditore uno Stato che abbandona al proprio destino i suoi uomini migliori? Ecco, solo quest’ultima ipotesi meriterebbe un film a parte strutturato con tale realismo alla Bellocchio, ma in questo caso occorrerebbe una censura che per un giorno si dimentichi del suo (a volte falso) dovere.
Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina on-line suwww.sportenjoyproject.com
Catania, 23 giugno 2019
Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine
( fonte foto web cinemacittà.it )
Facebook comments:
Lascia un Commento
Occorre aver fatto il login per inviare un commento