Quinta uscita della rubrica ” Ti dipingo così… a tu per tu, a parlar del più e del meno, con…”

a cura di Concetto Sciuto

Teatro Massimo Bellini: una “chiacchierata” con il professore d’orchestra Antonio D’Amico in attesa di un (vero) futuro.

Si chiama “pregiudizio di sopravvivenza” ed è uno dei più grandi limiti mentali dell’uomo. In pratica ci si concentra solo su ciò che ci permette di sopravvivere senza che ci si chieda quali sono stati tutti quegli errori che non hanno permesso la serena esistenza di qualcosa d’importante. Catania, Teatro Massimo Bellini, luogo culturalmente strategico dove da anni questo principio viene reiteratamente applicato, con la politica disattenta alle vere esigenze di una “macchina da guerra artistica” com’è uno dei più importanti teatri d’Italia e tra i migliori, per acustica, al mondo.

Utile premessa che ci fa da viatico a una chiarificatrice “chiacchierata” con uno dei tanti artisti coinvolti nell’annosa vicenda del teatro catanese, il professore d’orchestra Antonio D’Amico, nonché segretario regionale Fistel Cisl Sicilia, che esordisce come un fiume in piena pronto a tracimare pochi attimi dopo aver iniziato la nostra conversazione sul sempre più incerto futuro di un tempio dell’arte che una città come Catania, e una assemblea regionale indolente come quella siciliana, a questo punto, non meriterebbero di annoveralo tra i suoi più pregiati fiori all’occhiello.

E si comincia la conversazione da un concetto tanto semplice, come la programmazione di una stagione artistica musicale, che non si capisce come i nostri “navigati” governanti facciano molta fatica nel recepirlo. Difatti, ci spiega D’Amico, la politica non vuol comprendere, o per malafede o per ignoranza, che i (macchinosi) tempi della burocrazia stridono, non poco, con i (parossistici) tempi dell’organizzazione di una stagione importante come può essere quella del Teatro Massimo Bellini. Le scadenze dell’uno, non collimano mai con quelle dell’altro, ed è sempre un vano rincorrersi con effetti nefasti sulla stesura del cartellone.

E così, anche quest’anno, l’unico punto di appoggio (auspicandone la sua stabilità) è la solita promessa che non mancheranno gli stanziamenti richiesti, e non crediamo sia difficile comprendere i rischi qualora la stessa non fosse mantenuta!

Perché, giusto per aggiungere danno al danno, nella malaugurata ipotesi che i fondi non fossero sufficienti per garantire il pagamento delle maestranze, bisognerebbe far fronte anche agli inevitabili conteziosi con ulteriori costi.

Ed è un pericolo che toccherebbe anche le corde più sensibili della credibilità e dell’immagine di una istituzione storica come il Teatro Massimo, non fosse altro che in passato è già successo che queste promesse non sono state mantenute a causa dei tagli in corso d’opera, con imperdonabili ritardi nei pagamenti degli artisti e di tutte le pregiate maestranze, oltre la conseguente pioggia di vertenze.

Altro danno a tutto questo caos gestionale? La fuga dei cervelli, naturalmente! Perché non puoi fare il precario o lo stagionale a vita! Pertanto, ci ritroviamo con preziose risorse artistiche nostrane, cresciute a “pane, sacrifici e note”, che scappano per andare a deliziare un pubblico straniero e far arricchire altri teatri grazie alla loro maestria forgiata a spese della nostra comunità. Poi, spesso si tira fuori l’odioso gioco al ribasso in un settore dove la qualità artistica è stata ed è di caratura internazionale, pertanto, a causa di queste riduzioni di finanziamenti, il rischio sarà anche quello di un cartellone non all’altezza della fama del Bellini. Ad oggi, purtroppo, sembrerebbe che le uniche strade da percorrere sarebbero o fidarsi l’ennesima volta degli impegni a parole o…il nulla: tertium non datur!

E il professore D’Amico ci sintetizza pure, in una battuta caustica ma vera nella sua semplicità, il pensiero di chi dovrebbe disporre i finanziamenti: “ogni anno bisogna far fronte alle retribuzioni di oltre 200 maestranze, ma perché pagare queste persone per… suonare e cantare?”

E a pensarci bene, questa deriva culturale da parte delle istituzioni, e a cascata della popolazione, la possiamo riscontrare, noi catanesi che abbiamo vissuto la rinascita artistica della nostra città tra gli anni ‘80 e ‘90, anche nella musica leggera, con la trasformazione (in peggio) di quelli che furono i laboratori di nuove scoperte musicali, come erano una volta i pub, in caotici luoghi dove le armoniche sonorità del passato sono state soppiantate da insopportabili “rumori”.

E spostando l’asse della conversazione sul fronte proteste, il professore D‘Amico ci fa notare che dopo mesi di lotta che hanno comportato un incredibile dispendio di energie, considerando che nel frattempo, tra un flash mob e una marcia di protesta, si dovrebbero pure lavorare, qualcosa si è ottenuto: la piena solidarietà a livello nazionale da parte colleghi.

Dalla Scala di Milano all’Opera di Roma, fino al San Carlo di Napoli, c’è stata una vicinanza commovente: video lettera compresa. Anche perché dovesse chiudere il Bellini, sarebbe un forte segnale negativo per tutti gli altri, una pericolosa crepa in una diga chiamata “sistema teatro italiano”, in questo caso non ci sarebbe un teatro italiano che non potrà essere messo in discussione.

Una mobilitazione nazionale motivata, dunque, da giuste preoccupazioni, e a tal proposito se facessimo un poco di attenzione in casa nostra dovremmo chiederci: e Catania? Chi l’ha vista?

Vero che c’è stata una larga adesione alle tante iniziative per salvare il Bellini, ma la nostra città non si è mossa o si è mossa poco, e i catanesi sono stati i grandi assenti invece di essere i primi protagonisti. Un’ultima, amara, riflessione, a coronamento di un lungo sfogo, da parte del professore da cui possiamo elaborare una personale considerazione: anche a rischio di essere banalmente scontati abbiamo la forte sensazione di essere molto vicini a quelle verità che si intuiscono ma che non puoi provare come, ad esempio, l’avere di fronte i risultati di una (desueta) politica che ama fare i conti “investimenti=numero di voti”.

Un agire che non tiene conto dell’importanza d’immettere liquidità in un delicato settore come quello culturale anche se non ha lo stesso bacino di “utenza elettorale” di altre categorie, sottovalutando, di fatto, una scelta strategica inalienabile per la nostra struttura sociale intessuta di conoscenza prima e d’immagine poi. E crediamo sia utile ricordare in questi frangenti che l’articolo 9 della nostra costituzione cita testualmente: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, articolo che va di pari passo al più famoso art.1.

Incontestabile che questa politica “dell’elemosinare” non fa bene a nessuno e fino adesso non ha mai ripagato. Altre nazioni, molto più lungimiranti di noi, hanno compreso il valore di un volano come la cultura e l’arte che stanno, guarda caso, ai primi posti negli investimenti. Scopiazziamo dagli altri sempre il peggio, ogni tanto cambiare non farebbe poi così male.

Catania, 14 novembre 2019

Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine

( fonte foto pagina facebook Prof. Antonio D’Amico )

Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina on-line su www.sportenjoyproject.com