Il teatro di Samuele Carcagnolo come (reale) rivoluzione sociale…
Il teatro di Samuele Carcagnolo come (reale) rivoluzione sociale…
di Concetto Sciuto
C’è, all’interno della fiaccamente ripetitiva produzione teatrale dell’hinterland catanese, chi sta provando a interagire con il pubblico/società attraverso varie produzioni, tra poesia, musica, danza e recitazione, che fanno della escatologica multimedialità il grimaldello culturale per provare a scardinare la staticità di un appiattito linguaggio e pensiero moderno sempre più depauperato dal suo creativo, e potenzialmente ricchissimo, interazionismo simbolico e senso critico. Un teatro innovativo, non statico, non catalogabile tra gli innumerevoli dejà vu, rigorosamente mai banale e… “conditio sine qua non”: rivoluzionario. Non crediate però che quest’ultimo termine sia affetto da melliflua retorica, perché per il regista Samuele Carcagnolo, demiurgo di tutto ciò, è un vocabolo da interpretare nella sua piena portata semantica, dove il significante e il significato dovrebbero coincidere senza alterazioni di senso nella duplice transazione tra l’uno e l’altro. Un incipit da effetti speciali? Potremmo essere tacciati di questo se non avessimo ascoltato con le nostre orecchie, in una breve chiacchierata con il giovanissimo regista catanese pronto a mettere in scena in questi giorni la sua quarta opera teatrale (?), quanto lui creda nella forza comunicativa e “destabilizzante” delle sue produzioni. Forza centuplicata se poi riesci a creare, come fa lui, un aggregante melting pot tra i vari campi dell’arte. Così, ascoltando le motivazioni del suo fare teatro come arma culturale che dia vita a una rivoluzione, ma per forza di cose “pacifica”, è d’obbligo chiedergli, provocatoriamente, se è già pronto alle barricate. Nemmeno il tempo di completare la domanda che veniamo investiti da un secco: “magari!” scagliato lì con la forza delle sue idee, senza che un muscolo del suo volto tradisse la sincerità di quella affermazione. Inoltre, per qualche secondo Samuele è rimasto avvinghiato a quel desiderio, per poi essere costretto a correggere il tiro attraverso un più pragmatico: “ma visto che ciò tecnicamente non è possibile, ci affidiamo all’antica arte del teatro che, quando diventa una cosa seria, nei secoli è stato fondamentale mezzo di comunicazione è vero, ma anche d’intellettuale denuncia sociale. Perché amo fare un teatro sociale con l’obiettivo di tramandare un messaggio che deve essere leva per la rivoluzione, quindi un’arte che abbandoni quelli che sono i canoni estetici del bello non per sè stesso ma ai fini del messaggio come fosse una mia esigenza personale di fare uscire un aspetto spirituale, un qualcosa di esistenziale”.
E Samuele ci racconta che ama spaziare su quelli che sono gli aspetti estetici dello spettacolo dove il contenuto sia sempre un teatro utile ad accendere quella lampadina che possa permettere di reagire, fosse anche una rivoluzione armata. “Io mi ritengo un pacifico ma se il nemico ha armi che tu non hai ti devi armare come lui, il nemico è il sistema economico e tutti coloro che lo difendono a discapito delle tutele degli attori e, per estensione, dei lavoratori in generale”.
Un nuovo “Che” alle falde dell’Etna? Nel suo intimo anche di più, considerando il suo perenne attacco diretto alla società dei consumi, e alle sue imperanti sperequazioni, grazie a un’arte di cui Samuele ne è così innamorato che ne ha fatto suo intimo cardine su cui fa ruotare il suo essere. Tetragono cardine lubrificato da sudore e passione, da notti trascorse dietro un pc a scrivere e litri di fiele da deglutire per inevitabili fallimenti/errori seguiti, per fortuna, da celeri risalite, sempre braccando ideali e sogni ma di quelli che ti fanno luccicare gli occhi, che ti pulsano dentro le vene, ti indicano la via da percorre che tu, in ogni caso, intraprendi fosse anche la più contorta. Approfittando della copresenza di Andrea Laviano, attore e aiuto regista nella prossima rappresentazione teatrale, spostiamo su questo suo giovane amico l’asse delle nostre curiosità chiedendogli se anche lui segue ideologicamente Samuele con il medesimo spirito da “pasionario”. È sincero Andrea, un po’ come lo sono tutti i ventenni, rispondendoci che ha apprezzato molto il giusto messaggio, la giusta battaglia e il progetto, ma prima per lui c’è il teatro che ama tantissimo e spera in un futuro di proseguire in questa affascinante carriera. Incassato l’onesto no, provocatoriamente chiediamo al regista se un giorno dovesse accorgersi che la sua missione è stato un fallimento cos’altro farebbe nella vita.
“Un problema a cui non avevo mai pensato. Anche perché quando una persona è idealista come me, così radicata nelle sue convinzioni, così sognatore, non prevede che possa fallire od ottenere un esito negativo e qualora ci fosse non potrei piangermi addosso o forse, convinto della bontà della mia battaglia, nemmeno vedrei la sconfitta”. “In ogni caso per noi la rivoluzione non finirebbe mai perché la stessa può fallire ma non finirà mai la voglia di farla”. Un’ultima affermazione così bella che non ricordiamo nemmeno chi, del gruppo di amici di Samuele, l’abbia pronunciata. Ma dove sta l’originalità in tutta questa nostra conversazione? Forse i ventidue anni di Carcagnolo a cui fanno da contraltare le sue produzioni da… quarantenne inglobate in un odierno contesto sociale dove tanti, troppi, suoi coetanei bruciano (purtroppo) tempo tra smartphone, video, selfie o a lamentarsi sempre per un lavoro che non arriva mai aspettando, in un opinabile oblomovismo, che qualcuno bussi alla porta per offrirglielo. Samuele no, scrive, produce, sbaglia, si corregge, critica, litiga e si riappacifica, in un solo termine: vive. E quasi per empatia i suoi spettacoli, piacciono o meno, lo rappresentano in toto, perché ogni suo lavoro è un pluralistico tuffo nel ginepraio mondo dell’arte dove desidera mettere in scena produzioni non semplici, o ancor meglio potremmo dire di “nicchia allargata” e alcuni passaggi sono così machiavellici che ti fanno dubitare, reiteratamente, sulla veridicità della sua data di nascita. Ma cosa più importante, appena stretta la mano per i saluti finali, comprendiamo che, con questi ragazzi, c’è ancora un barlume di speranza per la nostra società che presto sarà solo la loro.
Catania, 18 febbraio 2020
Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine
( fonte foto LFM PRODUCTION )
Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina on-line su www.sportenjoyproject.com
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