Quattordicesima uscita della rubrica “Ti dipingo così … A tu per tu, a parlar del più e del meno, con …” a cura di Concetto Sciuto
Le molteplici anime del giudice: il magistrato Mirabella ci racconta del Santino scrittore e…viceversa.
Se non possiamo parlare di vera e propria dissonanza cognitiva, qualche “disagio” a imbastire una lunga chiacchierata con il magistrato Santino Mirabella, e il suo alter ego, lo abbiamo provato. Eppure, le intenzioni da parte nostra erano le migliori, come quella di soddisfare, spaziando su più fronti, molteplici curiosità che potessero cogliere sia sul magistrato, sia sullo scrittore, sia sul poeta, nel tentativo di afferrare, cristallizzare e, soprattutto, provare a separare queste diverse anime che fluttuano l’una accanto alle altre, sovrapponendosi, a volte combaciando, di certo alternandosi sinuosamente senza soluzione di continuità. Tutto inutile, ma alla fine siamo felici lo stesso perché, pur avendo predisposto una alternanza di domande cucite ad arte ai due (e più) personaggi che istintivamente condividono lo stesso luogo dell’anima (la mente), e delle passioni (il cuore) , la commistione è stata inevitabile, anche se piacevolmente accettata grazie a ponderate, sincere, risposte impreziosite da ricche spigolature che ci hanno chiarito, e spero vi chiariranno, cosa si cela in questi due/tre/quattro gemelli diversi di marca Liotru.
Passaggio inevitabile, come tradizione di questa rubrica, ricostruire l’episodio che nella sua infanzia lo ha indirizzato a fare una scelta di vita da lui stesso definito come una missione, qual è il mestiere di GIP/GUP, punto snodale di tutto ciò che avviene a monte di un processo, giusto per dare a Cesare quel che è di Cesare. E stavolta la risposta, rispetto alle precedenti interviste, ci ha lasciato un tantino perplessi. Difatti, non ricorda un evento specifico della sua infanzia che gli ha tracciato dentro questo non facile percorso, non c’è stato, come dice lui, “un big bang” che ha scatenato quel desiderio di fare il magistrato, “certe cose sbocciano da sole”. Eppure, scavando, scavando, ci confida che nel suo intimo ha sempre sentito un senso di giustizia… “giusta”. Quell’adoperarsi affinché tutti (!), nel significato e significante più pieno del termine, siano trattati equamente di fronte alla legge. L’applicazione della iuris prudens, grazie alla carriera di giudice, ritenne, dunque, l’unica via che poteva dare corpo a questo suo desiderio. Poi, l’università fu la chiave di tutto, perché “quando mi sono iscritto in giurisprudenza avevo già deciso di fare il magistrato”, ed è sempre più cresciuto in lui quel forte senso di giustizia sostanziale sperando che la stessa collimi con quella processuale. Questo anche per una, irreprimibile, empatia verso chi subisce un torto, verso gli ultimi, verso chi soffre, perché avere solamente una vita a disposizione significa che bisogna viverla bene, perché “ci si ricorderà di noi per ciò che di bene abbiamo fatto e non per il numero di anni che abbiamo vissuto!”
Ricostruito l’incipit di tutto, cominciamo questo ondivago percorso tra i vari personaggi spostando, per la prima volta, l’asse delle nostre domande dal giudice allo scrittore con una “cattiveria” utile a testare la sua pazienza, disponibilità e prontezza nella risposta. Leggermente timorosi chiediamo quanto il suo ruolo di magistrato possa aver influito nel far crescere la sua fama di scrittore: “ovvio che ha mi ha favorito, è inutile nasconderlo!” Parlavamo di sincerità? Eccoci accontentati! con una risposta netta, decisa, che non ci si crede nemmeno a sentirla con le proprie orecchie però…una risposta a cui faceva seguito una piccola, ma sostanziale, inversione di marcia precisandoci che ciò è avvenuto più per curiosità che per “timore reverenziale del ruolo”. Naturalmente, aggiunge e precisa, che certi accessi sono stati più semplici ma soprattutto, ribadisce, per “una incontenibile curiosità di comprendere come un uomo di legge s’interessasse, ad esempio di Luttazzi, o scrivesse poesie e romanzi di un impegno sociale non trascurabile.” E a testimonianza di quanto affermato, Mirabella tira fuori, dalla sua pletora di aneddoti, un ricordo quando, intervistato dal giornalista e conduttore televisivo Carlo Massarini, lo stesso si meravigliò di questa sua prorompente ecletticità, avendo nel suo immaginario collettivo una figura diversa di un uomo di legge. A questo punto, dopo aver “magistralmente” evitato il nostro uppercut, riprendiamo l’avvicendamento delle curiosità e nello sdoppiare il personaggio, ci rivolgiamo in maniera alterna una volta al giudice e all’altra allo scrittore, per poi passare al tifoso e per finire con il poeta, dopo un celere accenno allo sceneggiatore. Ma senza anticipare più nulla, e rivolgendoci stavolta allo scrittore, scopriamo che già a sei anni aveva completato il suo primo romanzo e adesso scrive più di quanto legge anche se “leggere è stato un modo di caricarmi”. Bene, a questo punto, mollati i freni inibitori e sparigliate le carte della diplomazia, agevolati anche dal suo metterci a nostro agio, tiriamo fuori l’ennesima domanda chiedendogli se la scrittura sia una “via di fuga” per la fantasia alla freddezza del suo mestiere, intriso di norme astratte e generali da “gestire”.
“Le norme non sono fredde e astratte”, è la sua risposta con un tono che si avvicina più a un paterno rimprovero che a una replica, e per giustificare questa sua certezza, codice penale alla mano, ci chiede di leggere l’articolo 575 (sull’omicidio) e l’interpretazione dello stesso. Perplessi per la richiesta, ma fiduciosi sulle motivazioni che stanno dietro questa singola iniziativa, leggiamo ad alta voce i contenuti di una delle più importanti norme del diritto penale: “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione…”
Ci si accorge, se la norma fosse applicata in maniera fredda e non interpretata, che paradossalmente solo gli “uomini” sarebbero punibili di omicidio! Come intervenire a un “incidente di percorso del legislatore e colmare questo “limite” dell’articolo?” Grazie a una sorta di “umanizzazione” di ciò che è scritto su un freddo pezzo di carta perché l’applicazione delle stesse non possono fare a meno di una interpretazione.
Pertanto: “è una fesseria che la legge va applicata e non interpretata, se non venisse interpretata non la si potrebbe applicare”, chiosa il dottore Mirabella ricoprendo, con questa affermazione, a pieno titolo il ruolo di magistrato. Una “calda” interpretazione “iuris prudens”. E se pensassimo, anche solo per un attimo, che la nostra domanda iniziale fosse stata liquidata con questa incontestabile risposta, significherebbe che ancora non abbiamo compreso nulla dello spessore del nostro interlocutore. Perché, invece, se oggi c’è una vera, concreta, ragione che fa da humus a questo suo, innato, desiderio di scrivere è quella ineluttabile necessità di dare sfogo alle parole. Un uscire fuori dal claustrofobico legame di chi gioca, lavora, soppesa, con migliaia di parole ma che sono come “palloncini che teniamo con un filo”. Un vincolo che concede poco o nessuno spazio alla fantasia perché: “quod non est in actis non est in mundo” e un giudice giusto non può inventarsi il suo “mondo” a danno di altri. Soluzione? Esatto, avete indovinato! Scrivere! ma stavolta di fantasia, un modo per liberare le parole da questa claustrofobia che il mestiere impone, permettendoci di lasciare quel filo che farà volare i palloncini, facendoci diventare quasi come un Creatore. “Sinceramente non comprendo i miei colleghi che scrivono di diritto restando vincolati alle parole è come chiudersi in una torre d’avorio.”
Fantasia abbiamo detto? bene, assicuriamoci di quanto affermato ritornando allo scrittore per chiedergli perché in un suo romanzo “Il TU(o)uMORE. Io e Leo” ci si ritrova come coprotagonista un… male così spietato.
Se fantasia deve essere, che lo sia con tutto il suo potenziale immaginifico, così una storia vera diventa metafora del male soggiogato. Prima, però, bisogna rendersi conto che un tumore è abituato a fare “burocraticamente” il suo lavoro di male, il suo mestiere è questo e non gli interessa vincere o perdere. “Chi si porta dappresso il male, di qualunque tipo, non deve considerarlo come un nemico ma è come fosse un figlio degenere.” L’importante e saperlo gestire, ci si porta il male dentro per insegnarli qualcosa e non all’inverso: bisogna educare il male. “Tu non vinci perché io sono un uomo è sono più forte di te”. Un riferimento a Vecchioni e al suo brano “Ho conosciuto il dolore”, per chi ama la musica come Mirabella, diventa una citazione inevitabile. Parole che ci fanno comprendere quanto, piacevolmente, ci siamo allontananti dagli algidi canoni di una tradizionale intervista, toccando le sensibili corde della vita, quella reale, quotidianamente e maledettamente reale. Su questa falsa riga riteniamo sia il momento giusto per ritornare al magistrato, chiedendogli quanto le ideologie possano influire nell’istante in cui si emette una sentenza. “Io mi auguro zero e in me incidono zero! Se dovessero incidere siamo al pari dei delinquenti, in maniera conscia o inconscia”. Ritenevamo che questa nostra curiosità potesse in qualche modo scomporre un tantino l’aplomb del dottore Mirabella, invece, sorridendo, ci ricorda che questa domanda la si fa solo al giudice. A nessun ingegnere o medico si chiede se, nell’esercizio delle sue funzioni, faccia mai riferimento ai suoi preconcetti. “Io da cittadino ho le mie idee politiche ma da giudice si azzera tutto!” E se si accorgesse di avere sbagliato una sentenza? Incalziamo noi su un argomento così delicato quanto, a volte drammaticamente, attuale.
“Può succedere, a me non è mai successo di sbagliare che io sappia. La cosa importante è l’assoluta buona fede e l’onesta intellettuale” e a rinforzo di questo suo pensiero ci descrive la teoria “dell’ennesima curva”. Bisogna considerare ogni singolo fascicolo, ripetitivo per quanto vuoi, come fosse una curva da affrontare quando guidiamo. Il rischio di perdere la concentrazione c’è ma ogni curva, monotona nel gesto per quanto possa essere, bisogna affrontarla sempre come fosse la prima! La differenza, per fortuna, in un caso giudiziario che, a un eventuale errore, abbiamo le contromisure per rimediare, come gli appelli e in ogni caso sono errori marchiani che difficilmente non puoi non notare. “Io in quasi vent’anni di carriera non mi è mai successo di rilevare un errore e morirei se mi fossi accorto di questo!” Un pensiero sviluppato e tematizzato in una sceneggiatura (sì, sappiate anche questo e fatevene una ragione, Santino Mirabella ha fatto anche lo sceneggiatore!) per un cortometraggio dal titolo “Toghe” dove l’intensità del monologo portante, e dei dialoghi che fanno da corollario, afferiscono a una filosofia che spazia tra l’esistenzialismo e il “De brevitate vitae di Lucio Anneo Seneca”. Una citazione che ci fa da viatico per ritornare allo scrittore, e facendo riferimento a un altro suo romanzo, come “Incontri occasionali”, chiediamo proprio sull’importanza degli incontri casuali e se questi possono incidere, o addirittura mutare, il nostro destino. Domanda utile a ribadire il sempre attuale concetto che la fortuna, o caso, nella vita è fondamentale ma non sufficiente, perché è vero che con una vita senza fortuna si hanno poche possibilità, ma la vita senza bravura e solo fortuna, non va nemmeno bene perché il destino ce lo costruiamo noi e gli incontri occasionali ne fanno parte. “Così è stato anche per me, casualmente in una uscita ho incontrato un amico e ai superiori mi sono iscritto nella sua sezione, e grazie a questo incontro, di conseguenza, ho conosciuto persone che hanno influito per sempre nella mia vita.”
Andiamo adesso a bussare nuovamente alla porta del…sì ok, avete capito, del giudice, con l’ennesima, fastidiosa, domanda che coglie nella cronaca di questi giorni. Cosa porta un magistrato a tradire il suo ruolo? Un solo istante di titubanza prima di rispondere, questo perché, per la prima volta, il dottore Mirabella non ha una vera risposta e riflettendoci forse è giusto che sia così. “Per me è inconcepibile, io vorrei avere qui davanti chi ha tradito e chiederglielo, sinceramente io non lo posso capire. Nessuno ci ha obbligato a fare questo mestiere e se lo hai scelto è una missione e se la tradisci posso avere solo parole di sdegno e, ripeto, questa domanda la vorrei fare io al mio collega che tradisce!” Una risposta affilata come una lama di Toledo, accompagnata dalla voce vibrata per l’emozione e un luccichio degli occhi che sembrano confermare, effettivamente, quanto male gli possa fare il solo pensarlo.
Comprendiamo che la domanda ha toccato un nervo scoperto della magistratura, ma il senso di questi incontri significa anche guardare, attraverso un sano dialogo, il male dritto negli occhi per poi esorcizzarlo. Forse è stato l’unico momento imbarazzante dell’intero incontro, e ci saremmo meravigliati se non fosse stato così, di certo catartico grazie anche alla risposta e per alleggerire il dialogo si ritorna allo scrittore anzi, pardon, al… tifoso e a un suo libro che, testuali parole: “a volte ho perfino pianto di commozione mentre lo scrivevo”. Titolo del libro? “Quando il grigio divenne verde “un titolo quanto di più evocativo possa esserci, anche perché si rifà all’esperienza di un fanciullo (lui) accompagnato dal padre per la prima volta al Cibali e in quell’istante scopre i colori del campo, le musiche, un abbacinante sventolio di bandiere e un merchandising rudimentale ma efficace (così forte il ricordo che ci accenna pure qualche nota della mitica pubblicità della super miscela Torrisi), il tutto in un’atmosfera surreale per gli occhi di un bambino abituato a vedere il campo di calcio in una tv in bianco e nero. “Non è un libro di calcio, ci precisa, e credo sia uno miei libri migliori perché è stato scritto con il cuore.” Parcheggiato questo amarcord di Santino Mirabella tifoso, lo stesso ci ricorda però: “purtroppo sappiamo tutti che il calcio è una delle cose più sporche, perché la società è sporca ma è ancora peggio rispetto alla società, perché è più concentrato dove controllori e controllati spesso sono gli stessi. Noi siamo cresciuti con un altro calcio.” Così, questi colori gli sono entrati dentro e puntando l’indice contro gli intellettuali che non lo capiscono, e che sono con la puzza sotto il naso, ci dice che: “chi non ha una passione non capisce chi ce l’ha.” Inoltre, aggiunge “se il Catania morirà mi prenderà un colpo.” Ed è certo he quel verde non tornerà mai più perché è il colore della speranza “e io non ho più speranza”. Ed eccoci arrivati, dopo uno slalom più che entusiasmante tra i vari Mirabella, alla fine di una (inevitabilmente) lunga chiacchierata, rivolgendoci stavolta non al magistrato, e nemmeno allo scrittore, ma… all’uomo Santino e al suo più che naturale orgoglio di avere raggiunto un’apprezzabile notorietà. “Sic transit gloria mundi”: cosa succederà dentro di lei quando tutto questo finirà? Imparato a conoscerlo dopo oltre un’ora di conversazione, dovevamo essere pronti alla solita risposta che, come sempre, prova a spiazzarci e non poco. Santino Mirabella, di professione magistrato, scrittore per pura passione, fa ciò che fa per sincero, personale, diletto e la ricerca del successo non è contemplata nell’istante in cui decide di scrivere qualcosa. Frase scontata? No, perché supportata dai fatti considerando che pubblica da “soli” dodici anni e scrive da…quaranta! “Mi diverto a fare ciò che faccio e se non dovessi avere più successo mi divertirei ugualmente! Il mio lavoro è altro, se fosse stato il mio lavoro solo in quel caso mi sarei preoccupato.” Adesso abbiamo veramente finito ma ci accorgiamo di non avere chiesto nulla al Mirabella poeta, e non volendo più abusare del suo tempo chiediamo solamente se sarà la poesia a salvare il mondo. Non è certo sul fatto che la poesia possa essere l’ancora di salvezza dell’umanità, ma è più fiducioso sull’amore che salverà il mondo dove la poesia è solo una sua forma. E ci invita a riascoltare il brano “Henna” di Lucio Dalla come sintesi di questo suo pensiero, semplice quanto potente. Ringraziandolo, un tantino dispiaciuti di essere giunti alla fine, salutiamo sia il liutaio della parola, sia il prudentia della legge, sia l’umano troppo umano Santino Mirabella per aver accettato , senza mai “ribellarsi”, questo nostro alternarsi di domande che hanno provato a scavare tra i suoi vari personaggi, un lavoro utile a descriverci prima, e rimandarci dopo, l’immagine di quel percorso ad ostacoli che in fondo è questa nostra vita che solo l’amore può appianare e salvare ciò che di tanto buono ci propone ogni giorno, basterebbe solo vederlo. E citando lo sceneggiatore che alberga in lui: occorrerebbe in fondo scorgere in ogni tramonto una nuova alba.
Catania, 5 luglio 2020
Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine
( fonte foto pagina facebook Santino Mirabella editing Chiara Sciuto )
Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina on-line su www.sportenjoyproject.com