Nessun scherzo da prete, anzi potremmo dire che l’intervista ha seguito i desiderati, a volte rari, canoni della sincerità mista a passione per ciò che si fa. Lui è padre Giovanni Mammino, Vicario generale della diocesi di Acireale, insegnante di Storia della Chiesa allo “Studio Teologico San Paolo di Catania” e dal 2014 è direttore dell’Archivio Storico del Museo Diocesano di Acireale, e questi sono solo alcuni dei diversi incarichi che ricopre, evitando di descrivere gli altri, non fosse altro che esauriremmo buona parte dello spazio riservato all’articolo. Ma, al contrario di cosa potrebbe far credere questo incipit, è la semplicità che lo contraddistingue, quell’essere distante dall’effimero e ammaliante fascino esercitato dai ruoli tipico di chi, prima di annoverare titoli su titoli, ha percorso mille e più vie spesso tortuose ma sempre intrise di sinceri rapporti umani con relative gioie, ma anche con inevitabili drammi da dirimere.Un classico di chi è cresciuto ed è vissuto in mezzo alla gente, con la gente e per la “sua” gente, e questo lo si è percepito anche dal tono passionale della voce mentre raccontava la sua storia, anzi correttezza vuole che si scriva: la loro storia. Eppure, nonostante questo suo eludere i diversi ruoli giocati in società, la tentazione è ugualmente forte e la prima domanda è utile per confermare la nostra prima impressione.

Quando nel 1994 è stato ordinato sacerdote avrebbe mai pensato di ricoprire, nel tempo, questi incarichi così prestigiosi?

No, pensavo di diventare semplicemente sacerdote, mi sono sempre pensato parroco e difatti lo sono stato ad Acitrezza per sedici anni, la mia esperienza più forte e più bella che ho vissuto da parroco.

E quando è arrivata la vocazione?

Fin da ragazzino sentivo qualcosa dentro che è cresciuta negli anni anche grazie alla educazione nella fede da parte della mia famiglia e della mia comunità, una fede non sola vissuta per tradizione ma in maniera convinta, semplice, sobria ed essenziale. Proprio a Cosentini ho maturato questa mia scelta, vivendo in tutto e per tutto la vita della comunità cristiana, all’epoca c’era un giovane parroco che ho sempre seguito impegnandomi in parrocchia in vari campi artistici e culturali come l’animazione, il canto, la catechesi, la formazione dei ragazzi e dopo la maturità classica ho elaborato la scelta di entrare in seminario. In seguito, sono stato chiamato a intraprendere gli studi, in particolare quelli di Storia della Chiesa e lì mi sono formato e già sapevo che dovevo dedicarmi all’insegnamento, sempre nell’ambito dell’attività pastorale di parroco e poi man mano arrivavano gli incarichi.

Dovrebbe bastare come risposta, ma essendo colpiti da una incontenibile, bulimica, curiosità ritorniamo sull’argomento:

Cos’ è rimasto, oggi, di ciò che è stato il neo-parroco Giovanni Mammino?

Mi porto dentro quell’indole dei miei primi anni perché venire da un paesino di campagna, nella sua essenzialità, a me dice tutto.  La natura stessa mi fa capire tante cose, diciamo che… ci fa maturare, e la Grazia del Signore mi ha concesso di passare dalla campagna al mare dove ho imparato tante cose e mi porto dentro un bagaglio ricco d’incontri, di volti di persone, perché la storia è fatta da persone e di rapporti umani, di tanti insegnamenti di vita, siamo un intreccio mirabile: tutto è connesso.

E di connessioni, soprattutto storiche, dopo anni di ricerche in archivio e non solo, ne ha fatte davvero Padre Mammino. Considerarlo una sorta di “artigiano” della ricostruzione degli eventi non è solo una realistica metafora, difatti, grazie al suo inesauribile, paziente, affastellare di documenti su documenti, minute, preziose pezze d’appoggio, infinite testimonianze orali, in pratica tutto ciò che poteva aiutarlo a comporre quel puzzle di tre comunità come Cosentini, Linera e Maria Vergine, ha dato vita a un pezzo di storia di piccole frazioni. Pertanto, con la successiva domanda desideriamo colmare l’ennesima, lecita, curiosità che ci permette di scoprire l’antesignano -e originale- incipit che sta alla base della sua recente pubblicazione: “Linera, Cosentini, Maria Vergine. Storia di tre borgate dell’antico Bosco di Aci”.

Da dove nasce l’idea di scrivere questo libro?

Da parecchio tempo maturavo questo desiderio, fin da bambino vedevo i ritratti di cinque sorelle monache e mi facevano impressione insieme a due ritratti di uomini che erano i loro fratelli. Si trattava delle sorelle Cosentini, fondatori della chiesa.

La curiosità, dunque, è stato il primo motore delle successive numerose domande a cui desideravo dare risposte. Così iniziai a raccogliere i primi documenti, conservando gelosamente tutto ciò che scoprivo e che ritenessi utile, e studiando archivistica questa voglia di conoscere era supportata ancor più, finché un giornopensai di scrivere qualcosa.

Anche se in parte ha anticipato la risposta alla prossima domanda chiediamo ugualmente: l’essere Direttore dell’Archivio Storico, quanto ha influito nella stesura del libro? o ha fatto più ricorso alle sue origini?

Di certo, come dicevo, il corso di archivista fatto all’Archivio Apostolico Vaticano ha alimentato questa mia passione per il riordino dei documenti, così, in maniera sistematica, applicavo lo stesso metodo ovunque andassi, metodo supportato anche dall’altra mia passione: quella per la storia. Perché è nei documenti che possiamo scorgere la vita delle singole persone, testimonianze orali comprese e poi da questo possiamo ricostruire le vicende storiche.

Linera, Cosentini e Maria vergine, nel suo libro lei spiega un passaggio fondamentale come quello della competizione tra le masserie padronali a quella tra le chiese padronali per il servizio pastorale. Se per la prima ci può stare, anzi ci sta tutta, nella seconda non è una sorta di ossimoro?

Bisogna comprendere e contestualizzare nel tempo questa realtà e conoscere il fenomeno delle chiese padronali.

Difatti, nel momento in cui avveniva un incremento demografico ci si preoccupava della cura pastorale dei fedeli che vivevano nelle campagne. Il vescovo e i singoli sacerdoti non avevano le forze per edificare le chiese nelle zone periferiche, così si mettevano a disposizione i signorotti locali che offrivano le loro disponibilità economiche per patrocinare la costruzione della chiesa per la cura pastorale di quel territorio. In cambio chiedevano dei diritti come la loro sepoltura e di tutti i discenti in quella chiesa, o il diritto di padronato per la designazione del sacerdote che avrebbe seguito pastoralmente quel territorio decidendolo da una terna di nomi. E questi sacerdoti, per forza di cose, spesso facevano gli interessi dei signorotti ed entravano, ad esempio, nelle logiche di competizione tra i vari territori. Sì, è vero, c’era un prezzo da pagare, però c’era anche più di un aspetto positivo come la presenza capillare della chiesa con una promozione del territorio, perché non dimentichiamo che nelle campagne non c’erano servizi da parte dello Stato. Ad esempio, il centro di aggregazione e assistenziale anche, nel fornire un minimo di rudimenti di istruzione, veniva dato dal cappellano della chiesa che a tutti gli effetti diventava un avamposto per un minimo di formazione culturale. Ma la chiesa era anche un avamposto medico con le suore che facevano consulenza medica e proprio i Cosentini erano figli di medici chirurgi (1840) e i fratelli tutti medici e, incredibile per allora, una sorella non suora fu la prima donna in Sicilia a diventare medico chirurgo. Mi ripeto, da una parte si ricevevano più di un servizio lodevole e capillare ma i rischi erano i contrasti tra le varie famiglie che spesso sfociavano in accesi campanilismi.

Una esaustiva risposta prima di effettuare un balzo temporale in avanti rispetto al periodo storico preso in esame, ma indietro di quasi quattro anni rispetto ad oggi, nell’istante in cui decidiamo di spostare il fuoco dell’attenzione su un recente, tragico, “parossistico” evento.

Le immagini che scorrono sono quelle del video promozionale #RICOSTRUIAMOCOSENTINI (di cui ne consigliamo la visone https://www.youtube.com/watch?v=RsytQh3vIQI&ab_channel=Parrocchia%22MariaSS.delRosario%22Cosentini&fbclid=IwAR2OKdRh5NlTWOHmZ-xpyMmhyAf8hPL251AMJyGof3_8hhxXGegZnAsauPc) che mostrano spaccati di vita sociale di un’amena frazione come quella di Cosentini, un sorta di un prima e di un dopo il 26 dicembre 2018 alle ore03:23. Datate le prime immagini ma che raccontano di un paese e di una comunità semplice, serena, abbarbicata alla fede, visceralmente legata alla sua terra e alle tradizioni con un campanilismo d’altri (bei) tempi. Di contro, crudeli sono le seconde, come possono essere quelle che raccontano di un terremoto che, se non uccide in maniera diretta, di certo mette a nudo tutte le fragilità umane e di un territorio, abitazioni in primis.

Dopo questo disastroso evento, com’è cambiato il rapporto di fede con Dio da parte della sua comunità, se lo stesso è cambiato?

Dalle mie ricerche si evince che quella zona da sempre è stata martoriata dai terremoti. Le tre frazioni si trovano proprio in mezzo a due faglie che spesso si muovono, pertanto il pericolo è nel DNA della popolazione dove scatta la logica della sofferenza. Sì, è vero, all’inizio ci sono stati momenti di sconforto, poi però la voglia di riscatto e di ricostruire fa quasi dimenticare l’accaduto e ci si affida ai Santi, in particolare alla Madonna che è padrona di tutte e tre le comunità. Non solo preghiere naturalmente, perché allo stesso tempo ci si da fare, si sa: la natura è natura che segue il suo corso e bisogna sapere convivere con questa realtà che diventa quasi culturale. Proprio durante quest’ultimo terremmo mi trovavo a Cosentini, e subito dopo mi sono spostato nei luoghi colpiti da sisma visitando le altre frazioni come Pennisi e sinceramente non ho percepito questi dubbi di fede non fosse altro, ripeto, che si è abituati e consapevoli dei pericoli del territorio dove si vive.  Anzi, considerando l’intensità del terremoto anche molto superficiale, in questo caso possiamo solo ringraziare il Signore che non c‘è stata nessuna vittima. Oramai fa parte dell’indole di questa popolazione chiedere al Signore di dare la forza di riprendersi e, cosa importante, anche la prevenzione ha dato una grossa mano di aiuto, soprattutto dopo il 1914 le strade furono allargate e sono stati adottati i primi sistemi di case antisismiche.

Ricostruiamo Cosentini, il video è del 2020: oggi tra le tante cose da fare quali sono rimaste quelle più urgenti e a che punto sono i lavori di ricostruzione della chiesa e… delle case?

Come dicevo, ci si è dati da fare subito dopo l’evento, ad esempio con la campagna raccolta fondi tra comunità e amici che ha permesso di cominciare i lavori di ricostruzione che sono già finiti. Difatti, occorrevano 63.396 euro raccolti tramite donazioni da integrare al contributo della CEI che ha dato un grande sostegno di ben 253.585 euro grazie al fondo dell’otto per mille, per un totale di spesa di 316.981 euro. Precedentemente per le case sono stati donati altri aiuti e questo subito dopo l’evento sismico, sempre da parte della CEI, mentre da parte della Diocesi ci sono stati aiuti immediati per l’acquisto di generi alimentari, grazie al Banco Alimentare e distribuiti tramite la Caritas.  Si è trattato soprattutto di un primo sostegno a quelle famiglie in grossa difficoltà, purtroppo come Diocesi non è che avesse tanto ma abbiamo messo a disposizione anche alcuni locali. Da non dimenticare che per queste frazioni le chiese sono anche (o soprattutto?) importanti luoghi di aggregazione, anzi preciso: le parrocchie sono gli unici luoghi di aggregazione, non c’è altro e se perdi questi significa perdere l’identità della comunità, nella logica della ricostruzione ci vuole l’uno (le case) e l’altro (le chiese), perché se le relazioni sociali si sfilacciano completamente, se le piccole frazioni perdono questo legame comunitario, è la fine.

L’interlocutore non tradisce nessun fastidio nel rispondere alla nostra precisazione di cosa si sia fatto, oltre per la ricostruzione della chiesa, anche per la ricostruzione di un paese come Cosentini, non fosse altro che questa differenza ai suoi occhi e, più che altro, nel suo cuore, non esiste. E qui diviene quasi obbligo la citazione “non si vive di solo pane” ma anche, aggiungiamo, di (veri) rapporti sociali che in queste piccole realtà sono ossigeno e humus per la loro sopravvivenza. Perché gli effetti collaterali del terremoto spesso non sono visibili solo agli occhi di chi non vuole vedere, ma inevitabilmente tracciano segni profondi nell’anima di chi li vive. Chi ha pensato/detto/scritto questo? Noi, come sintesi di una particolare chiacchierata che ci ha fatto scoprire l’antico valore del piccolo territorio. Alla fine dell’intervista, dopo aver salutato, virtualmente con una calorosa stretta di mano, Padre Mammino è come se avessimo stretto, ancora più virtualmente, la mano a tutta una comunità che prova a non disperdere, tra le macerie, sé stessa perché questo sarebbe, sotto certi aspetti, ancora peggio del terremoto. Una malaugurata, nociva, diaspora assolutamente da evitare perché, pericolosamente, potrebbe far mutuare le profonde crepe dai muri delle case nei loro cuori.