Nella sagra della mostarda e del ficodindia, c’è spazio e tempo anche per derogare alle prelibatezze dei vari stand, magari dedicando qualche istante dalla versione “mangereccia” … ad altro… Ad esempio, spostando l’attenzione su quella storia tutta nostrana che richiama un’antica tradizione siciliana come quella vincola, ma quando la mano d’opera, la fatica e la comunità contadina intera, era dedita alla pigiatura dell’uva: schiacciandola con…i piedi! Il luogo in questione si chiama palmento, ed era la Stella Polare dei contadini, dove tutto il lavoro di raccolta dell’uva ruotava intorno ad esso a fine vendemmia. Riviverlo, grazie alla visita di uno ancora integro, come quello di proprietà dell’avvocato Giovanni Arcifa, sito in via Umberto 58, è come fare un viaggio nel tempo a ritroso di ben un secolo, datazione provvisoria e per difetto. Ma ascoltiamo dalle parole dello stesso proprietario un po’ di questa storia:

“Il palmento, non esagero, avrà almeno cent’anni anni, e ne sono certo perché c’è una fotografia, datata se non erro 1930/31, dove è stato immortalato il matrimonio dei miei nonni e dove si vede proprio questo palmento; quindi, immagino che risalga a più di un secolo fa. Posso dirle che fino agli anni Ottanta del secolo scorso era in funzione, perché ricordo da bambino assistevo alla pigiatura dell’uva”.

L’emozione è palpabile nella voce dell’avvocato, soprattutto quando descrive il deus ex machina di quella attività come il Sig Finocchiaro.

“Mi ricordo che al torchio c’era proprio lui, Innocenzio Finocchiaro per tutti ‘Nuncenzio , una vera istituzione a Camporotondo, e posso dire che era caratteristica la mescita con Innocenzio che contava il numero di salme di mosto citando, ad ognuna, il nome di Maria, il nome di Gesù, il nome di altri santi, mentre la tredicesima e la diciassettesima salma, naturalmente, non si contava per scaramanzia”.

Dopo è rimasto chiuso per anni, vero?

“Sì poi è rimasto chiuso perché con l’avvento dei palmenti meccanizzati il sistema era già superato, troppo oneroso e pertanto andò subito in disuso”.

Cosa dire di più? aggiungere altro sarebbe ridondante, e adesso rimane una cosa sola da fare: visitare questo pezzo di storia di Camporotondo, ma soprattutto della nostra Sicilia.